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6 Mag 2009

Possibile soluzione alla febbre suina

“E’ una patologia da maltrattamento”, afferma il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione.

L’attuale epidemia a rischio pandemia causata dalla “febbre suina”, che la si voglia chiamare “nuova influenza” o altro, fa parte delle “patologie da maltrattamento”, come vengono definite dal NEIC, il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione, in quanto si tratta di una malattia dovuta ai metodi usati negli allevamenti industriali, che hanno come scopo solo l’altissimo livello produttivo e il profitto ed ignorano il benessere degli animali.

Secondo la FAO, la causa di questi problemi è la sempre maggiore commercializzazione e intensificazione degli allevamenti. Le condizioni di affollamento e scarsa igiene degli allevamenti intensivi e la mancanza di pratiche adeguate per lo smaltimento delle deiezioni causano malattie negli animali, e ne facilitano la rapida diffusione. [1]

Negli ultimi vent’anni sono state varie le epidemie a livello nazionale e internazionale, tutte nate negli allevamenti industriali e tutte a rischio di pandemia. Ci sono già stati focolai di febbre suina in Asia e in Europa, influenza aviaria in Asia, Europa e in tutto il mondo, la Sars, epidemie di BSE e di Foot and mouth disease, tutte hanno avuto ampia pubblicità e creato ansia e paura nei consumatori. In tutti questi casi, un numero enorme di animali è stato macellato – nella maggior parte dei casi in modo cruento.

I mercati del bestiame sono un ambiente perfetto per la diffusione delle epidemie. Animali che spesso sono già stressati ed esausti per il lungo viaggio, si ritrovano a dover affrontare condizioni disagevoli e un trattamento crudele. Questo abbassa ancora di più la loro già minima resistenza alle infezioni.

Anche in questo caso, “l’influenza e’ strettamente correlata alla densita’ dei maiali allevati” afferma un ricercatore appartenente ad una Commissione europea di studio sulla situazione in Europa. La rapida intensificazione nell’allevamento dei suini in Europa è stata descritta su Science come “una ricetta per il disastro.” [2]. La direzione della Commissione Europea per l’Agricoltura avverte che “la concentrazione della produzione ha dato luogo ad un crescente rischio di epidemie di malattie.” [3]

La situazione è quindi di rischio quotidiano, in tutto il mondo, e la soluzione possibile non è che una: diminuire il numero di animali allevati, e quindi diminuire i consumi. Ben lungi dal “rassicurare” i cittadini dicendo loro che possono tranquillamente continuare a mangiarsi prosciutti e salami, bisognerebbe invece dir loro che la responsabilità di questo stato di cose è l’abnorme aumento dei consumi di carne (di ogni specie) di questi ultimi decenni. E’ impossibile continuare con questi livelli di consumi e allo stesso tempo chiedere “sicurezza” sanitaria. Non ci sono controlli che tengano, regole e leggi da applicare: se non si diminuisce la produzione e quindi il numero di animali allevati nulla potrà cambiare, nulla si potrà risolvere, qualsiasi legge o accordo internazionale sarà solo di forma, vuoto di sostanza.

La responsabilità, oltre che delle istituzioni, è di ciascuno di noi. I consumi di carne vanno diminuiti, in modo drastico, da subito, se vogliamo arginare i pericoli sanitari, oltre che quelli ambientali.

Fonti:

[1] Nierenberg D., Factory Farming in the Developing World, World Watch May/June 2003

[2] Webster RG and Hulse DJ. 2004. Microbial adaptation and change: avian influenza. Revue Scientifique et Technique 23(2):453-65

[3] USDA. 2009. Chickens and Eggs 2008 Summary.
http://usda.mannlib.cornell.edu/usda/current/ChickEgg/ChickEgg-02-26-2009.pdf